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I cittadini vessati - Storia di normale ingiustizia
Nel 2003 il signor Marchese Rosario, perito informatico che collaborava con i Carabinieri, veniva indagato perché in casa di un presunto mafioso del clan dei Basilischi, veniva trovato un CD che, a detta degli investigatori della PS, conteneva intercettazioni telefoniche segretissime fatte dai Carabinieri su di un altro clan del vulturese-melfese.
Non so se avete già capito leggendo la cronica giudiziaria che gli investigatori italiani quando trovano due giocattoli ad aria compressa, procedono per detenzione di arsenale clandestino e di traffico internazionale di armi e i pallini di piombo diventano “500 munizioin”; ed anche che basta aver incontrato un mafioso al bar per essere accusati di concorso esterno in associazione mafiosa: serve per le statistiche e per andare sui giornali.
Nel caso in esame non vi era nessuna prova che il Marchese avesse mai conosciuto qualcuno del clan, non vi era alcuna prova che fosse stato lui a consegnare od a copiare il CD, ma il Marchese si trovava imputato ufficialmente per associazione mafiosa e così il questore e il prefetto gli ritiravano le licenze di porto di armi che gli erano state date per difendersi dai mafiosi che contribuiva a far condannare collaborando coi i Carabinieri! In base alla regola che certe forze di polizia perdono più tempo a controllarsi reciprocamente che a controllare i delinquenti, veniva anche indagato un ufficiale dei Carabinieri; quando non si hanno le idee chiare o non si hanno prove, l’altra regola è di indagare un po’ tutti; quando si spara nel mucchio qualcuno resta impallinato. Molti PM non hanno capito che così facendo fregano le indagini perché chi poteva essere un buon testimonio, diventa indagato e quindi può tacere o, se parla, diviene meno credibile; ma ciò serve anche a togliere a qualche indagato la possibilità di difendersi con queste testimonianze.
Dopo solo sette anni (perché per la giustizia italiana è del tutto corretto che un cittadino attenda di essere giudicato da una accusa così devastante per sette anni, se va bene), pur essendo le indagini già complete nel 2003, il Marchese nell’aprile 2010 arrivava davanti al GIP di Potenza che lo proscioglieva “perché il fatto non sussiste”.
Nel processo risultava ciò che era già in atti (ma i PM i loro atti se li leggono?) e cioè che il Marchese non aveva potuto materialmente eseguire la copia del CD perché non era stato lui a lavorare sul computer, ma un suo collega coimputato. Per chi sa leggere fra le carte (e il GIP lo ha fatto) si capisce che uno del clan aveva iniziato a collaborare con il SISDE e che questo, per dargli la possibilità di dimostrare le sue “entrature”, gli aveva rifilato il CD con notizie prive di importanza. Ed infatti le “notizie segretissime” che tanto avevano eccitato la PS erano intercettazioni non più attuali, già sfruttate; erano una bufala.
Il GIP rileva quindi che mancava ogni prova che il Marchese e il coindagato fossero implicati nella vicenda e che, comunque, ipotizzare un concorso in associazione mafiosa era una fantasia stravagante. Osservava che, al massimo, l’ipotesi accusatoria poteva essere quella di illecito accesso ad un sistema informatico, restando ovviamente da dimostrare e provare se, come e quando e ad opera di chi l’accesso fosse avvenuto. Avrebbe potuto tranquillamente scrivere che, nella peggiore delle ipotesi il Marchese avrebbe potuto essere accusato di “associazione a fin di bene” con i Carabinieri o con il Sisde!
Già nel settembre 2010, subito dopo la sentenza del GIP la questura rilasciava al Marchese licenza di porto di fucile per il tiro a volo e nel novembre il prefetto la licenza di porto di pistola.
A questo punto si innesta l’aspetto tragicomico (tragico per il Marchese, comico per chi si diletta a studiare i metodi di certi uffici di PS): in data 26 aprile 2012 gli viene revocata la licenza di tiro a volo e in data e in data 14 maggio 2012 anche la licenza di porto di pistola per difesa personale.
Conoscendo i miei polli ritengo molto probabile che qualcuno di quelli che aveva avuto la bella pensata di denunziare il Marchese senza prove, ed anzi in contrasto con le prove, avuta notizia che il Marchese era stato “riabilitato”, sia andato dai suo colleghi a dire “ma come, io con le mie superiori capacità scopro che Marchese è un delinquente e voi gli ridate anche il porto d’armi? Ma che figura di m… ci faccio? Levategli subito le licenze!”.
Per ottenere questo bel risultato questore e prefetto si sono arrampicati in modo quasi patetico sugli specchi unti e teflonati con le seguenti argomentazioni:
- è vero che non si sa chi abbia creato il CD che è finito al mafioso, ma se c’è finito il rapporto fra Marchese e mafioso “appare ampiamente concreto”! A Roma gli direbbero “appare un par del balle!”. Il giudice ha stabilito che manca ogni prova di un rapporto fra Marchese e mafioso e ha stabilito che non vi è prova che il Marchese abbia creato il disco: se alla PS ciò appare una prova ampiamente concreta, devono stare attenti perché può darsi che gli appaiano anche la Madonna e i dischi volanti! Oppure la PS ha nascosto delle prove alla giustizia e se ne accorge solo ora?
- è vero che il GIP lo ha assolto dalla associazione per delinquere, ma però egli aveva invitato il PM a procedere per il reato di “accesso abusivo ad un sistema informatico (art. 615 ter C.P.” e quindi da ciò si ricava che riteneva il Marchese colpevole di qualche cosa! Non ci vuole grande esperienza di procedura penale per sapere che le questioni circa il modo di contestare il reato sono puramente procedurali e precedendo il giudizio sul fatto. Se il PM contesta un omicidio senza rendersi conto che il morto era solo ferito e campa ancora, il GIP è tenuto a rilevare prima di tutto che il reato contestato è sbagliato e va corretto in quello di lesioni o di tentato omicidio; ma con ciò non esprime alcuna valutazione sulla colpevolezza dell’imputato. Se nel caso in esame si è accorto che l’associazione a delinquere era una pura invenzione, bene ha fatto a dire al PM di procedere per un reato più lieve, ma ciò non vuol dire che ritenesse il Marchese colpevole. Inoltre nel processo vi era un coimputato (quello che in base alle testimonianze risulta aver maneggiato computer e CD) e quindi il prospettare che il GIP, nell’ipotizzare una possibile accusa di frode informatica, si riferisse al Marchese (estraneo a operazioni informatiche) e non al coimputato, più concretamente sospettabile, è cosa insensata e, come mimino, prova di non saper leggere una sentenza. Ma se uno ragionasse come la PS un po’ accanimento contro il Marchese “apparirebbe ampiamente concreto”!
Comunque è il PM che stabilisce ambito e portata dell’accusa e se non ha ritenuto di contestare il 615 ter non c’è questore o prefetto che possano sostenere che il PM era un cretino e che il reato c’era! Le opinioni personali del GIP al di fuori della materia sottoposta al suo esame con l’imputazione, non hanno alcun valore giuridico (ho fatto il GIP per 10 anni e qualche cosa ho imparato!).
Il provvedimento di revoca non spiega perché per la PS la sentenza del GIP nel settembre 2010 dovesse essere presa per buona e perché ora, nel 2012, non lo sia più; solo per ciò il provvedimento di revoca à illecito sul piano amministrativo.
Vicende come queste (e sono molte, troppe) lasciano l’amaro in bocca perché si tocca con mano l’inefficienza delle Procure, spesso cieche strumenti delle forze di polizia, e come in certi ambienti della burocrazia italiana si ritiene di essere al di sopra delle leggi, che il cittadino possa essere maltrattato scrivendo quattro righe insensate su di un foglio di carta, che le velleità e gli umori di un funzionario siano più importanti delle sentenze dei giudici.